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Prime Esperienze

La camera da letto


di Membro VIP di Annunci69.it Passioneterna
15.08.2024    |    342    |    0 6.0
"Dopo averla leccata con molta maestria sfilò via le mutandine fradice di umori, lasciando scorrere il pizzo sulle cosce e baciando la pelle mano a mano che..."
La camera da letto era sapientemente in penombra, Cristina aveva acceso una lampada e delle candele che rendeva l’atmosfera calda e avvolgente, come un tenero abbraccio capace di scaldare gli animi più gelidi e intirizziti.

Nell'aria c’era un vago profumo di incenso che si avvertiva pungente e sicuro, e in qualche modo entrava a fare parte di te. Era un profumo che non dava fastidio, che non solleticava le narici come quegli aromi a basso costo, che si comprano nei supermercati. Era un aroma che sapeva di oriente, di terre lontane, di segreti, di misteri che rendeva la stanza tremendamente sensuale.

Tutto di quella camera parlava di ciò che vi sarebbe accaduto, di lì a poco. Niente era fuori posto. Nella sua semplicità ogni oggetto era esattamente dove ci si sarebbe aspettato che fosse: il libro sul comodino, con la copertina leggermente sollevata dal resto delle pagine; una sciarpa di seta rossa, sapientemente adagiata sul bracciolo della sedia, forse di qualcuno che l’aveva appena tolta, forse di qualcuno che l’avrebbe indossata di lì a qualche minuto.

Anche lei sembrava sospesa, anche lei parlava di qualche cosa di appena percepibile. Cristina indossava un paio di autoreggenti velate, con la riga dietro, a disegnare alla perfezione quelle gambe tornite e slanciate.
Niente pizzo, solo un piccolo fiocco laddove il gancio della guepiere sfiorava il bordo delle calze: un vezzo al quale Cristina non avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Indossava un bustino nero, con i nastri intrecciati sulla schiena e il seno in bella mostra.
Non era volgare, data la sua figura slanciata. La sua pelle risplendeva alla luce della lampada.
Un trucco sapiente, grazie ad un rossetto rosso che sembrava quasi naturale; i capelli tirati su, con qualche ricciolo ribelle a disegnare il contorno del viso, a sfiorare la guancia dipinta di un rosa pallido.
Cristina era bellissima e tale si sentiva.
Terminava la preparazione una goccia di profumo, posata ad arte alla base del collo e sulla sua scollatura. Non troppo forte, per non infastidire, non troppo leggera, da correre il rischio di essere dimenticata.

Cristina si distese sul letto, con le gambe leggermente dischiuse ma non troppo, un braccio sul cuscino vuoto e l’altro a sostenere la testa. E’ così che Cristina lo aspettava, così che il suo amante l’avrebbe trovata. Il rumore di passi proveniente dal corridoio la fece sussultare e impercettibilmente irrigidire. Era pronta: a concedersi, a lasciarsi possedere, a regalare piacere e intimità. A essere donna, regina, puttana, schiava, signora, amante.
Quando lui varcò la soglia della porta, pensò che Cristina fosse bellissima, e che quasi non si meritasse uno spettacolo così grande tutto per sè. Si sentì un uomo fortunato e qualcosa dentro di lui gli sembrò sciogliersi, come il burro al calore.

Si guardarono senza dirsi nulla. Lui chiuse la porta alle sue spalle e respirò a pieni polmoni l’odore della stanza.
Si tolse la sciarpa la appoggiò sulla sedia e si avvicinò a Cristina.
Lei sorrise, senza mostrare i suoi denti, abbassò lo sguardo, con studiata timidezza e lo invitò ad avvicinarsi a lei.
Posò le sue mani con le unghie laccate di rosso sulle spalle del suo amante e lasciò scivolare a terra la sua giacca, con un rumore soffice e sensuale. Poteva toccare quelle spalle forti, solide, decise.
Le sfiorò con cura, con attenzione, senza lasciare neppure un istante il contatto con il suo amante: voleva che lui capisse che era tutta per sè, che non esisteva più tempo, spazio o distanza fra di loro.

Lui si sedette accanto a Cristina e la baciò con passione. Prese possesso di quelle labbra rubino, succhiandone l’essenza, bramando quel sapore al quale aveva pensato molto a lungo, nei giorni passati.
Si stupì della loro morbidezza, della loro consistenza: rimase sorpreso da quanto il suo ricordo fosse annebbiato, da quanto si aspettasse di sfiorare qualche cosa di ruvido che la sua saliva avrebbe addolcito.

Invece si lasciò ammaliare da quella sensazione che gli sembrava di provare per la prima volta, e lasciò che le mani di lei prendessero possesso del suo maglione, per sfilarlo via e della sua camicia, per aprire bottone dopo bottone.
Cristina ci sapeva fare: le sue mani sganciavano i bottoni con una sicurezza incredibile, quasi non avesse fatto altro per tutta la vita: esercitare le sue dita a quell’arte.
Una dopo l’altra le asole furono libere e la stoffa bianca e spessa cadde a terra, come vittima di una battaglia, assieme a giacca e maglione. Rimase con indosso solo dei pantaloni mentre Cristina lentamente conquistava centimetro dopo centimetro del suo amante.

Il suo amante appariva stranamente arrendevole, ma lei era ben consapevole che si trattava di un trucco: ben presto quella finta mansuetudine avrebbe lasciato il posto ad un uomo passionale e appassionato, che senza scrupoli si sarebbe preso ciò che più desiderava. E lei, ammise con se stessa, non desiderava niente altro.
Gli fece posto nel letto e finalmente discostò un poco le gambe, lasciando intravedere l’interno delle sue cosce bianche e sode.
Fu come un segnale per lui.
Con una mossa di scatto si insinuò fra le gambe di lei, costringendola a spalancarle con una lascivia che non apparteneva a Cristina: a lui non interessava, voleva quella pelle, voleva quell'odore.
Voleva perfino quel segno rosso sull'interno coscia, quello lasciato dal gancio della guêpière che aveva fatto saltare in un lampo.

Ora lui sembrava un lupo famelico, che non desiderava altro se non essere sfamato. Si avventò fra le cosce di Cristina, scostando il pizzo della mutandina verso destra.
Davanti ai suoi occhi si apriva un fiore rubino, turgido e umido. Gocce di rugiada stillava quel fiore, gocce che raccolse una ad una, prima con la punta delle dita, poi con la punta della lingua.
Cristina gemette, ansimò: la sua pelle lo bramava, il suo piacere voleva essere soddisfatto.

La bocca di lui prese a succhiarla con avidità: prima le labbra, grandi e piccole, quasi senza distinzione di sorta, e inizio a leccarle.
E poi quel bottoncino nascosto che si faceva strada fra le pieghe del piacere e che emerse come iceberg fra le acque. Lo prese fra i denti e Cristina urlò.
Faceva male, ma non voleva che lui smettesse. Sentiva un’onda montare dal basso, sentiva che sarebbe venuta senza vergogna, senza potersi trattenere.
Le mani di lui si posarono sulle ginocchia di Cristina, per spalancarle ancora di più: voleva ridurla all'impotenza, voleva farla godere e prendersi tutto quel piacere che stillava fra le sue cosce.

Era pronto a possederla in mille modi, era pronto a renderla sua.
Cristina lo guardava, lo ammirava ed era certa che non esistesse altro uomo che potesse farla sentire così.
Era pronta ad essere posseduta, si aspettava che lui entrasse dentro di lei con le sue dita prima, con il suo membro subito dopo.

Ma lui la stupì nuovamente. Dopo averla leccata con molta maestria sfilò via le mutandine fradice di umori, lasciando scorrere il pizzo sulle cosce e baciando la pelle mano a mano che veniva liberata dalla stoffa.
Poi, si avvicinò a quel corsetto. Posò le sue mani sul seno di Cristina, al di sopra della stoffa e affondò le dita nella stoffa. Ne afferrò i bordi, e quasi senza il minimo ritegno fece forza per strapparglielo di dosso. Ecco che i seni di Cristina furono liberati dalle stecche, svettando sodi.
Le mani di lui si avventarono su quei capezzoli rosa e grandi, tirandoli, torcendoli allungandoli a suo piacimento. Poi fu il turno della bocca, mentre Cristina gemeva dal piacere e dal desiderio.

La bocca di lui tormentava il seno di lei, mentre le sue mani la penetrarono all'improvviso.
Fu molto semplice entrare dentro di lei e prendere possesso di quella intimità violata: le dita scivolavano grazie agli umori grondanti, e più lui andava in profondità, più lei lanciava grida di piacere.
Lo voleva, lo voleva subito.

In un attimo di apparente distrazione, Cristina riuscì a prendere possesso dei pantaloni del suo amante, ad aprire bottoni e cerniera e, finalmente, a liberare il membro di lui, ormai troppo compresso, vista la prorompente erezione.
Era dritto, duro come il marmo, lucido di umori e pronto per essere “coccolato”, iniziò quindi a baciarlo, a leccarlo fino a portarlo nella sua calda bocca e succhiarlo.
Cristina lo tirò poi fuori dalla sua bocca, senza troppi preliminari, sfilò via le mani di lui dalla sua fighetta e si lasciò penetrare.
Un colpo solo, bene assestato, che la riempì all'improvviso e le tolse il fiato.
Non lo ricordava così grande, quasi aveva dimenticato quella sensazione di totale appartenenza.
Avvicinò ancora di più il suo bacino a quello di lui, perché nemmeno una parte della sua intimità rimanesse priva di quel godimento totale.

Più lei si muoveva sotto di lui, più lui perdeva il controllo di se stesso: Cristina ci sapeva fare e lo eccitava come nessuna mai.
Quelle cosce che si muovevano quell'espressione così indecifrabile, quel senso che ansimava e lasciava scoperti dei capezzoli dritti e turgidi: erano tutte cose che lo mandavano in estasi e alle quali non poteva rinunciare.

E fu guardando quei capezzoli dritti che lui la scopò sempre di più fino a venire. Venne senza potersi fermare, venne senza preavviso, inondando Cristina dentro e fuori.
E Cristina guardando quelle spalle possenti che la stavano possedendo si lasciò andare ad un orgasmo violentissimo, gridando, gemendo, liberandosi totalmente.

Lui si accasciò sopra di lei. E rimasero così: amante e amata. Senza parlare. Solo respiri.
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